CLICCA

Archivio delle notizie di graffignananew.it

ARTICOLO TRATTO DA "IL CITTADINO" DEL 1/11/2011 - «Paolo ucciso da un patto scellerato»
 

Graffignana Il fratello del giudice eliminato dalla mafia: «Era un ostacolo alla trattativa fra Cosa nostra e pezzi dello Stato»
«Paolo ucciso da un patto scellerato»
Salvatore Borsellino svela i retroscena della strage di via D’Amelio
 


graffignana Ogni anno, il 19 luglio, un gruppo di persone con in mano un’agenda rossa si ferma sotto i palazzi di via Mariano D’Amelio, a Palermo. Stanno lì per tutta la giornata, per impedire ai rappresentanti dello Stato di depositare una corona di fiori davanti al portone del civico 19-21. Pensano che lo Stato non abbia nessun diritto di piangere una morte cui ha fattivamente contribuito, perché questa è stata l’uccisione del giudice Paolo Borsellino, saltato in aria assieme ai cinque agenti della sua scorta il 19 luglio 1992: una strage di Stato. Lo ha gridato Salvatore Borsellino, fratello minore di Paolo, al pubblico riunito lo scorso venerdì sera nell’auditorium di via Gramsci, a Graffignana, durante l’incontro promosso dai genitori dell’istituto comprensivo Duca degli Abruzzi. «Mio fratello è stato ucciso perché dopo la morte di Salvo Lima (referente siciliano di Giulio Andreotti, ucciso dai corleonesi il 12 marzo 1992 «per non aver rispettato i patti», ndr), alcuni pezzi grossi dello Stato avevano dato inizio a un’ignobile trattativa per fermare i sicari di Cosa nostra e impedire che venissero uccisi una serie di uomini politici che la mafia considerava “traditori”, fra cui lo stesso Andreotti. Mio fratello aveva scoperto tutto e, di fronte alla sua determinazione di rendere pubblici questi squallidi maneggi, lo Stato decise che era meglio farlo sparire, e in fretta, e con lui l’agenda rossa su cui aveva annotato i dettagli della trattativa». Un’agenda che Marco Travaglio chiama «la scatola nera della Seconda Repubblica», la cui sparizione è per Salvatore Borsellino «la base su cui si reggono gli equilibri di questa sciagurata stagione politica». Dentro c’erano i nomi degli uomini dei reparti investigativi che per conto dello Stato avevano trattato con i boss, e quelli dei politici eletti con i voti di Cosa nostra, finiti sulla lista nera per non aver rispettato i patti. C’erano i termini della trattativa: sconti di pena, revisione del maxi processo di Palermo e abolizione del 41 bis per salvare la pelle ad Andreotti, Martelli, Violante e Mancino. «C’è una foto che mostra il colonnello dei carabinieri Giovanni Arcangioli mentre, subito dopo la strage di via D’Amelio, si allontana dall’auto di Paolo con in mano la sua valigetta, con dentro l’agenda rossa. Dopo qualche ora la valigetta tornò al suo posto, ma dell’agenda non se ne seppe più nulla. E di fronte a questa fotografia, a una prova così evidente della sua colpevolezza, voi credete che Arcangioli si sia stato condannato? Niente affatto: venne assolto in udienza preliminare e anche il ricorso presentato dalla procura di Caltanisetta contro quella sentenza venne dichiarato inammissibile». Scottava troppo quell’agenda rossa perché lo Stato si assumesse il rischio di vederla finire nelle mani sbagliate. In quelle, per esempio, di Antonio Ingroia, Nino Di Matteo «e degli altri magistrati che stanno cercando di togliere il velo nero che ancora impedisce di arrivare alla verità sulla morte di mio fratello». È di qualche giorno fa la notizia che la Corte d’appello di Catania, pur sospendendo la pena agli otto imputati inizialmente accusati della strage di via D’Amelio, ha respinto la richiesta di revisione del processo, presentata dal pg di Caltanissetta Roberto Scarpinato alla luce delle nuove rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza. La sua versione smentisce le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino nel corso del primo processo, e punta il dito contro altri mandanti: «Ma io non ho bisogno di aspettare un nuovo processo per essere certo dell’identità di questi nuovi mandanti occulti. Ma forse la verità non la sapremo mai, nemmeno fra altri vent’anni, perché come diceva Sciascia, alla verità non ci si può arrivare, a meno che lo Stato non decida di processare se stesso». Silvia Canevara

 




 

 

Hit Counter

CLICCA